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domenica 14 settembre 2014

LO SGUARDO DI ESCHER IN MOSTRA A ROMA

"Lo sguardo di Escher" in mostra a Roma al Chiostro del Bramante dal 20 settembre 2014 al 22 febbraio 2015.


RELATIVITA' 1953

Il Chiostro del Bramante dal 20 settembre del 2014 al 22 febbraio del 2015, ospiterà la mostra dedicata all’artista olandese M. C. Escher (1898-1972), eccellente disegnatore e incisore famoso per la litografia del proprio occhio ingrandito fino all’eccesso, in cui è riflesso il motore da cui dipende l’esistenza ossia un teschio, simbolo della caducità della vita.

“Sono andato nei boschi di Baarn,
ho attraversato un ponticello e davanti a me avevo questa scena.
Dovevo assolutamente ricavarne un quadro!”

Con queste parole, Maurits Cornelis Escher allude alla litografia dal titolo Tre mondi in cui superficie, profondità e riflesso sono poste su un unico piano, quello dell’acqua, che accavalla mondi reali e mondi riflessi fra sogno e geometria, invenzione e percezione visiva, fantasia e rigore.

TRE MONDI 1955


Con oltre 150 opere, tra cui i suoi capolavori più noti come Mano con sfera riflettente s’inaugura a Roma, al Chiostro del Bramante, una grande mostra antologica interamente dedicata all’artista, incisore e grafico olandese, che ne contestualizza il linguaggio artistico e racconta l’annodarsi di universi culturali apparentemente inconciliabili i quali, grazie alla sua arte e alla sua spinta creativa, si armonizzano, invece, in una dimensione visiva decisamente unica.

VINCOLO D'UNIONE 1956

Prodotta da DART Chiostro del Bramante e Arthemisia Group e, in collaborazione con la Fondazione Escher, grazie ai prestiti provenienti dalla Collezione Federico Giudiceandrea, curata da Marco Bussagli, con il patrocinio di Roma Capitale, la mostra ESCHER vuole sottolineare l’attitudine di questo intellettuale - perché il termine artista, nell’accezione con cui siamo abituati ad usarlo, pare in parte inadeguato - a osservare la natura in un altro modo, con un punto di vista diverso, tale da far emergere in filigrana quella bellezza della regolarità geometrica che talora diviene magia e gioco.

METAMORFOSI 1940


Non è un caso che la spinta verso il meraviglioso e l’inconsueto sia nata nella mente e nel cuore di Escher grazie allo stupore che provava per le bellezze del paesaggio italiano, dalla campagna senese al mare di Tropea, dai declivi scoscesi di Castrovalva ai monti antropomorfi di Pentadattilo. Su questi paesaggi si allungava il suo sguardo che scorgeva la regolarità dei volumi, la dimensione inaspettata degli spazi, la profondità storica delle città e dei borghi. Fu la dimestichezza con questi luoghi, così diversi dalla dolcezza orizzontale della sua Olanda, a porsi alla radice di un percorso artistico che s’avventurò negli spiazzi sconfinati della geometria e della cristallografia, divenendo terra fertile per giochi intellettuali dove la fantasia regnava sovrana.
 Quello di Escher, infatti, è uno sguardo che sa cogliere la realtà del reticolo geometrico dietro le cose, per poi farne le premesse compositive per costruire quelle che più tardi prenderanno il nome di «immagini interiori».
Così, quando lasciata definitivamente l’Italia Escher giunse a Cordova e all’Alhambra nel 1936, il gioco di tassellature - l’elemento di attrazione dell’apparato decorativo di quei monumenti moreschi - fu causa scatenante di un ulteriore processo creativo che coincise con il riemergere della cultura art nouveau della sua formazione artistica. 

Il percorso della mostra vuole seguire letteralmente lo sguardo di Escher, che ha preso le mosse dall’osservazione diretta e puntuale della natura, sull’onda del fascino che esercitò su di lui il paesaggio italiano. Così, gli occhi del grande artista si sono posati tanto sulle meraviglie offerte dagli scorci del nostro paese, quanto sulle piccole cose, dai soffioni agli scarabei, dalle foglie alle cavallette, ai ramarri, ai cristalli che egli osservava come straordinarie architetture naturali.
La mostra dedicata a questo grande intellettuale, mago nell’iper suggestione del disegno, racconta attraverso le opere di Escher la compenetrazione di mondi simultanei, il continuo passaggio tra oggetti tridimensionali e bidimensionali. 
Ci sono  anche le ricerche della Gestalt - la corrente sulla psicologia della forma incentrata sui temi della percezione -, le implicazioni matematiche e geometriche della sua arte, le leggi della percezione visiva e l’eco della sua opera nella società del tempo.
Nel percorso della mostra anche opere comparative quali Marcel Duchamp, Giorgio de Chirico, Giacomo Balla e Luca Maria Patella.


MANO CON SFERA RIFLETTENTE 1955





Maurits Cornelis Escher (Leeuwarden, 17 giugno 1898 – Laren, 27 marzo 1972) è stato un incisore e grafico olandese. È conosciuto principalmente per le sue incisioni su legno, litografie e mezze tinte che tendono a presentare costruzioni impossibili, esplorazioni dell’infinito, tassellature del piano e dello spazio e motivi a geometrie interconnesse che cambiano gradualmente in forme via via differenti. Le opere di Escher sono molto amate dagli scienziati, logici, matematici e fisici che apprezzano il suo uso razionale di poliedri, distorsioni geometriche ed interpretazioni originali di concetti appartenenti alla scienza, sovente per ottenere effetti paradossali.





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giovedì 4 settembre 2014

HENRI CARTIER BRESSON A ROMA



La mostra retrospettiva su Henri Cartier-Bresson a cura dello storico della fotografia Clément Chéroux, al momento al Centre Pompidou di Parigi al Musèe National d'Art Moderne, arriverà a Roma dal 26 settembre 2014 al 6 gennaio 2015.


Promossa da Roma Capitale Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e prodotta da Contrasto e Zètema Progetto Cultura, l'esposizione viene presentata a dieci anni esatti dalla morte del grande fotografo, considerato un pioniere del foto-giornalismo (scomparso nel 2004 a 95 anni), e propone una nuova lettura dell'immenso corpus di immagini che ci ha lasciato.


(la prima macchina fotografica di HCB, una leika)

La mostra copre l'intero percorso professionale di Cartier-Bresson ed è il frutto di un lungo lavoro di ricerca svolto dal curatore nel corso di molti anni di studio: esposte oltre 500 tra fotografie, disegni, dipinti, film e documenti.



Chéroux cerca di mostrare come ci sia stato non uno ma diversi Cartier-Bresson: il fotografo, vicino al movimento Surrealista intorno agli anni Trenta, il militante documentarista della Guerra civile spagnola e della Seconda guerra mondiale, il reporter degli anni Cinquanta e Sessanta e infine, dagli anni Settanta, l'artista più intimista.



Henri Cartier-Bresson (Chanteloup-en-Brie, 22 agosto 1908 – L'Isle-sur-la-Sorgue, 3 agosto 2004) è stato un fotografo francese, considerato un pioniere del foto-giornalismo, tanto da meritare l'appellativo di occhio del secolo.
Teorico dell'istante decisivo in fotografia, ha anche contribuito a portare la fotografia di stampo surrealista (ispirata a Eugène Atget) ad un pubblico più ampio.



(Roma)

"Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere."

Il modo di vivere di Henri Cartier-Bresson, con l'obiettivo su quell'istante decisivo che ha immortalato il ‘900, con tutti i suoi stravolgimenti, personaggi chiave e stupori quotidiani.
funerali di Ghandi

(Matisse)




L’occhio del secolo che ha fondato la prestigiosa agenzia fotografica Magnum Photos nel 1947, con Robert Capa, David Seymour e George Rodger, e le basi del fotogiornalismo, fatto la resistenza e politica, sociologia visuale e viaggi in quasi tutto il mondo, studiando pittura con André Lhote, lavorando nel cinema con Jean Renoir, disegnando e avvicinandosi al surrealismo.



Lo sguardo all'avanguardia che ha reso la fotografia uno stile di vita, puntata su mondi riflessi in una pozzanghera, dinamiche vitali e poetiche del quotidiano.

La preziosa eredità iconografica lasciata all'immaginario con un settantennio di immagini, protagoniste di una nuova lettura fornita dalla più ampia retrospettiva europea mai organizzata, in mostra al Centre Pompidou Musée national d’art moderne di Parigi, sino al 9 giugno 2014, prima di arrivare al Museo dell’Ara Pacis di Roma, dal 26 settembre 2014 al 6 gennaio 2015.



Un viaggio con il il fotografo vicino al movimento Surrealista intorno agli anni Trenta, il militante documentarista della Guerra civile spagnola e della Seconda guerra mondiale, il reporter degli anni Cinquanta e Sessanta e l’artista più intimista degli anni settanta.



Il frutto di un lungo lavoro di ricerca e anni di studio nell’archivio del fotografo, a cura diClément Chéroux, storico della fotografia e conservatore capo del Dipartimento Fotografico del Museo nazionale d’arte moderna al Centre Pompidou di Parigi, come la monografia esclusiva edita da Contrasto lo scorso dicembre, e le sue 397 pagine da sfogliare in attesa della mostra nella capitale.


Per i più tecnologici c'è anche la panoramica della mostra offerta dall'applicazione Henri Cartier-Bresson disponibile per iOS e Android, realizzata in partnership con Le Monde.fr,Magnum Photos e la Fondazione di Henri Cartier-Bresson.
Riportiamo sotto un articolo apparso anche su Repubblica che racconta HCB a tutto tondo, ci è piaciuto molto e ve ne proponiamo la lettura.

Forse aveva ragione la signora che fece impazzire gli archivisti del MoMa chiedendo le fotografie del misterioso Kurt Yaberson.
Forse avevano ragione i cinesi a chiamarlo Ka Beu-Shun, o gli indiani Karttikkeya. Forse aveva ragione lui stesso a firmarsi Hank Carter.
Non è mai esistito un solo Henri Cartier-Bresson, se non come monumento, con poche frasi scolpite sul piedistallo e ripetute come sure coraniche da schiere di devoti, statua immobile e non somigliante, ma che è stata la sua immagine popolare per decenni.
Dov’è il vero HCB? Chi è HCB? “Di chi si tratta?”, si chiese di lui, ancora vivo, una mostra che non riuscì ancora a scrostare il mito dall’esperienza viva dell’”occhio del secolo”, un uomo che amava “l’immaginario preso dal vero”, ma lo cercò in modi diversi.
Uno dei quali, forse decisivo per spiegare gli altri, è quello che un pudore ideologico incomprensibile ha sottovalutato se non negato: la passione militante, l’ardore rivoluzionario dell’HCB degli anni Venti e Trenta: idealista, comunista, anticolonialista, con uno slancio che fu il motore segreto del suo desiderio di vedere e di far vedere.
A dieci anni dalla scomparsa, forse c’è una risposta a quella domanda, de qui s’agit-il?.
Finalmente  la figura di HCB viene sottratta all’abbraccio ugualmente soffocante di adoratori e detrattori e consegnata allo sguardo critico della distanza: lo chiese la sua ultima moglie, Martine Franck, prima di morire un anno e mezzo fa; lo ha voluto fortemente Agnés Sire, direttrice della Fondation HCB; ha compiuto la missione Clément Chéroux, direttore del settore fotografico al Centre Pompidou, dove fra un paio settimane (ma ilcatalogo, dal titolo icastico Henri Cartier-Bresson, è già disponibile anche in italiano, per i tipi di Contrasto) aprirà la prima retrospettiva non nostalgica sul “cacciatore vegetariano”, sul “borseggiatore gentile”, sul “tiratore zen” che, comunque lo si giudichi, ha dominato le opinioni e le emozioni fotografiche del Novecento.
Che esistessero più periodi, o maniere, nei cinquant’anni del travolgente ménage tra il taciturno biondino e la sua Leica, era già acquisito dalla critica. Ma restava da spiegare il salto brusco fra l’HCB surrealista dell’anteguerra e il fotogiornalista del dopo, tra l’artista e il reporter, tra l’intuizione extrarazionale della “bellezza convulsiva” e la teorizzazione geometrica dell’”istante decisivo”.
Troppo esile, per questo, l’aneddoto del consiglio paterno che gli diede il più giovane collega Bob Capa, al momento di fondare insieme l’agenzia Magnum: “Henri, nascondi il surrealismo nel tuo cuore”.
Sbirciando nella faglia fra due tensioni così divergenti, Chéroux ha trovato la fessura, l’ha allargata, e ha scoperto un mondo. C’è un terzo HCB tra i due “ufficiali”, ed è il ponte, l’anello mancante.
È il giovane parigino colto e curioso che segue André Breton nell’avvicinamento del movimento surrealista al Partito comunista; che dopo aver vagabondato per le strade a caccia di estetiche involontarie e di incontri sapientemente casuali mette l’acutezza del suo occhio più disciplinatamente al servizio della rivoluzione, dei proletari, degli emarginati; che pubblica sui giornali della sinistra, Ce Soir e Regards, reportage giornalistici di forte trasparenza politica sugli scioperi, sui bambini dei quartieri operai, sulla conquista delle ferie pagate.
È il rampollo di una delle famiglie più ricche di Francia che, sollecitato da Louis Aragon, segue i corsi di marxismo leninismo assieme all’amico Chim, e partecipa ai congressi dell’Aear, l’associazione degli artisti rivoluzionari. È il flâneur cacciatore che trasforma la sua arme de chasse, la fotocamera, in arme de classe.
È il giovane viaggiatore che cerca in Africa i segni arroganti del tallone d’acciaio, in Messico le speranze di una rivoluzione torrida, che negli Usa frequenta i circoli più radicali, gli intellettuali neri della Harlem Renaissance e i cineasti filosovietici di NYKino, che abbandona una prima volta l’immagine statica per quella in movimento, e tornato in Francia si mette a lavorare come assistente di Renoir, Pabst, Bunuel, e in proprio gira documentari sulla guerra di Spagna e sulla Liberazione.
Certo, fu HCB per primo a stendere un velo di oblio su quel periodo rosso fuoco. Non sappiamo come reagì al patto Molotov-Ribbentrop, ma era amico di Paul Nizan, e Chéroux suppone che la prese male tanto quanto lui. Ormai lontano dalla militanza, affascinato dalle filosofie orientali, nelle tarde interviste preferiva definirsi “un umanista”, valore-rifugio di tanti intellettuali di sinistra delusi dallo stalinismo, da Sartre e Malraux a Merleau-Ponty.
Ma senza il Cartier-Bresson militante, senza il suo “duro piacere” di guardare in faccia la realtà, non avremmo mai avuto il Cartier-Bresson che tutti conoscono, il narratore dallo sguardo perfetto di un pianeta in subbuglio.

La decisione, presa alla vigilia della guerra, di bruciare quasi tutti i negativi della sua “prima maniera”, finora interpretata come una specie di autodafé severo dell’artista che rinnega le proprie imperfezioni giovanili, viene riconsiderata come un gesto di prudenza in previsione dell’invasione nazista: troppo esplicita la presa di posizione ideologica in quelle immagini.La volontà di creare Magnumcome cooperativa autogestita di fotografi, e la scelta di assegnarsi la copertura dei paesi in lotta anticoloniale, l’India, la Cina, non sono allora casuali, sono segni di una coerenza politica ancora viva.

La stessa scelta, clamorosa, di abbandonare la fotografia come mestiere, nel 1974, e di tornare per l’ultimo trentennio di vita al disegno e a qualche rara foto intimissima, più che l’eremitaggio di un guru viene ora interpretata come tacita protesta contro la mercificazione e la caduta delle motivazioni ideali nelle nuove leve del fotogiornalismo, di cui il garbato ma secco celebre battibecco con Martin Parr fu un’avvisaglia.
Evaporano, in questa demitizzazione, molti luoghi comuni del cartierbressonismo: il comandamento dell’ “istante decisivo” (che sulla sua copia di Images à la sauvette,conservata alla Fondation, HCB corresse aggiungendo a matita un autoironico “parfois”: un istante talvolta decisivo…); la sua presunta antipatia per il colore (smentita dagli archivi), o la mistica del bordino nero che significa “vietato ritagliare la foto” (un segno para-iconico che compare solo molto tardi).
Si scandalizzerà qualcuno, per il revisionismo? Forse no: ormai altri vangeli, meno idealisti, impongono i loro versetti alla massa dei fotografanti.
Mito decaduto? Lui risponderebbe firmandosi con l’ennesimo dei suoi pseudonimi: En Rit Ca-Bré, Cartier-Bresson se la ride.
M.S.
[Una versione di questo articolo è apparsa su La Repubblica il 23 gennaio 2014]


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Luogo della mostra
Museo dell'Ara Pacis
Orario
Dal 26 settembre 2014 al 6 gennaio 2015
Martedì-domenica 9.00-19.00
La biglietteria chiude un'ora prima
Chiuso il lunedì
Biglietto d'ingresso
Biglietto solo mostra “Henri Cartier Bresson” (ingresso da Via di Ripetta):
- Intero € 11,00
- Ridotto € 9,00
- Speciale Scuole € 4,00 (ingresso gratuito ad un docente accompagnatore ogni 10 alunni)
- Speciale Famiglie € 22,00 (2 adulti più figli al di sotto dei 18 anni)
Ridotto:
- giovani fino ai 26 anni
- adulti oltre i 65 anni
- insegnanti in attività
- giornalisti con regolare tessera dell'Ordine Nazionale (professionisti, praticanti, pubblicisti)
- forze dell'ordine e militari con tessera di riconoscimento
- possessori RomaPass (dal 3° ingresso)
Gratuito:
 - bambini fino a 6 anni
 - portatore handicap e ad un loro familiare o ad altro accompagnatore che dimostri la propria appartenenza a serivizi di assistenza socio-sanitaria
 - guide turistiche dell’Unione Europea
 - interpreti turistici dell’Unione Europea
 - soci ICOMOS, membri ICOM e ICCROM e degli istituti di cultura stranieri e nazionali quali Accademia dei Lincei, Istituto Studi Romani, Amici dei Musei di Roma
 - possessori RomaPass (primi 2 ingressi)  
*****************************
Biglietto unico integrato museo Ara Pacis + mostra “Henri Cartier Bresson”:  
- Intero non residenti € 17,00
- Ridotto non residenti € 13,00
- Intero residenti € 16,00
- Ridotto residenti € 12,00
- Speciale Scuole € 4,00 (ingresso gratuito ad un docente accompagnatore ogni 10 alunni)
- Speciale Famiglie € 22,00 (2 adulti più figli al di sotto dei 18 anni)
******************************
Biglietto tipologia solo museo Ara Pacis:
 - Intero non residenti € 10,50
 - Ridotto non residenti € 8,50
 - Intero residenti € 8,50
 - Ridotto Residenti € 6,50



mercoledì 3 settembre 2014

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