Caravaggio gratis per tutti!
Visitare Roma senza spendere troppo...questo è il nostro motto!!
I quadri del Caravaggio che vi presenteremo sono 6 e si trovano tutti all’interno di 3 chiese, situate nel centro di Roma, tra Piazza del Popolo e Piazza Navona.
L'entrata e la visita a queste chiese è gratuita così come è gratuito poter ammirare i capolavori di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.
Di certo raccomandiamo di fare attenzione agli orari di apertura delle chiese che ,in questo itinerario, riporteremo ma anche a quelli delle funzioni che non riporteremo poichè durante le messe non è possibile visitare la chiesa e quindi vedere le opere.
Sveglia alle 8:30 e fate una sana colazione, al B&B ACQUEDOTTI ANTICHI ne fate di abbondantissime e se vi organizzate potete anche procurarvi panini o altri generi alimentari (frutta, pizza, bibite) al mercato poco distante pagandoli meno della metà di quello che potreste pagarli in giro per la ROMA TURISTICA CLASSICA ..
Fatto tutto?..bene ... si parte..........METRO A FERMATA SUBAUGUSTA (a 300mt dal B&B ACQUEDOTTI ANTICHI a Roma ) si scende a FLAMINIO ed iniziamo il nostro viaggio a Roma alla scoperta del Caravaggio.
La prima chiesache visiteremo è quella di Santa Maria del Popolo (Lu-Sa: 07:00 – 12:00, 16:00 – 19:00; Do: 08:00 – 13:30, 16:30 – 19:30), in Piazza del Popolo.
La basilica ha origine da una piccola cappella, eretta da papa Pasquale II nel 1099, in seguito alla demolizione del Mausoleo dei Domizi Enobarbi, tomba di Nerone. Sottoposta poi a successivi rifacimenti, quella che possiamo ammirare oggi è la versione di impronta barocca che le diede Gian Lorenzo Bernini tra il 1655-1660.
Due sono i dipinti di Caravaggio che si possono ammirare al suo interno, nella Cappella Cerasi.
A sinistra la “Crocefissione di San Pietro“, olio su tela (230 x 175 cm), 1600-1601.
CROCEFISSIONE DI SAN PIETRO
In questa seconda versione del dipinto, Caravaggio raffigura San Pietro che si fa crocifiggere a testa in giù per umiltà nei confronti di Cristo. Tutte le figure concorrono a formare una X con le assi della croce e dei corpi degli aguzzini, rappresentati non come tali, ma come semplici uomini, costretti ad un lavoro faticoso.
Tela di carattere volutamente antieroico e antiaulico, in essa seguendo Roberto Longhi i gesti dei "seventi", sono più da "operai" indaffarati, che non di carnefici, tanto da dare alla scena un senso di incolpevole evidenza, dove ognuno attende al suo compito. Nel quadro la luce investe la croce e il santo, entrambi simbolo della fondazione e della costruzione della Chiesa, attraverso il martirio del suo fondatore. La luce altresì investe i carnefici, qui raffigurati non come aguzzini che agiscono in maniera brutalmente gratuita, ma come uomini semplici, costretti ad un lavoro faticoso.
Spettacolare è, oltre all'illuminazione, la resa dei particolari: le venature del legno della croce, il piede nero dell'aguzzino chino, le rughe sulla fronte dell'aguzzino di sinistra, il riflesso della luce sulle unghie del Santo e dell'aguzzino che tende la corda.
Il quadro che vediamo è una seconda versione: la prima, unitamente a quella della Vocazione di San Paolo, fu rifiutata dai committenti per l'estremo realismo della scena. A differenza di altre opere , la prima versione della Crocefissione non ci è pervenuta.
A destra la “Conversione di San Paolo“, olio su tela (230 x 175 cm), 1601.
CONVERSIONE DI SAN PAOLO DI TARSO
Sotto al dipinto attuale è stato scoperta un'opera completamente diversa che potrebbe essere o un'opera precedente o più probabilmente, il quadro ha subito una radicale trasformazione radicale del pittore in corso della stesura.
Il dipinto sostituisce la prima versione dell'opera che era stata rifiutata dal committente.
La scena ritrae il momento topico della conversione di Paolo (descritto in Atti 26,12-18): quello in cui a Saulo, sulla via di Damasco, appare Gesù Cristo in una luce accecante che gli ordina di desistere dal perseguitarlo e di diventare suo «ministro e testimone». Sono presenti nella scena un vecchio e un cavallo, il quale, grazie all'intervento divino, alza lo zoccolo per non calpestare Paolo.
Caravaggio adotta l'iconografia della luce accecante e l'assenza di Cristo. Secondo alcuni studiosi l'artista lombardo fece questa scelta perché il committente lo aveva esortato a rispettare l'ortodossia cioè a dipingere ciò che era stato scritto negli Atti degli Apostoli. Secondo altri, Caravaggio decise di non dipingere Gesù perché non voleva che nei suoi quadri ci fossero figure divinizzate (Cristo era già risorto quando San Paolo si converte) perché ciò sarebbe andato contro il realismo a cui Caravaggio mirava.
Un altro importante dettaglio da notare è che Caravaggio dipinga un Saulo accecato (Longhi rimanda alle pupille cieche dei busti romani). Röttengen afferma che questa soluzione è estremamente moderna di un dramma che si svolge nell'intimo dell'uomo, che allarga le braccia come segno di estrema dedizione al Cristo.
Alcuni critici hanno ironicamente soprannominato il dipinto, la "Conversione del Cavallo". Infatti il cavallo occupa una rilevante parte del dipinto delineando anche in questa scelta il carattere innovatore della pittura caravaggiesca. Infatti le norme paleottiane prescrivevano di non porre al centro della rappresentazione un animale o elementi secondari. Calvesi ritiene che la scelta di porre al centro del dipinto il cavallo sia stata fatta per simboleggiare l'irrazionalità del peccato (basti pensare al Mito del carro e dell'auriga di Platone); il palafreniere quindi rappresenterebbe la Ragione. La luce invece è il simbolo della Grazia divina che irrompe nelle tenebre del peccato (il fondo scuro). Inoltre, il fondo nero, oltre ad avere una funzione simbolica, si presta in modo eccelso a far risaltare i volumi plastici dei personaggi ed in particolare del cavallo.
Conclusasi la visita ed anche la prima tappa.....camminando senza fretta e godendoci il panorama attraversiamo Piazza del Popolo e ci dirigiamo verso Via di Ripetta che più avanti prende il nome di Via della Scrofa.....passeggiando passeggiando siamo arrivati alla seconda destinazione, la chiesa di Sant’Agostino (Lun-Dom 07:45-11; 16:00-19,30) in Piazza di Sant’Agostino.
La Chiesa , la cui facciata è ispirata a quella di Santa Maria Novella a Firenze, è stata progettata da Leon Battista Alberti e costruita da Jacopo da Pietrasanta nel 1483, utilizzando il travertino proveniente dal Colosseo.
Al suo interno si trova la “Madonna dei pellegrini” (o Madonna di Loreto), olio su tela (250 x 150 cm), 1604-1606.
LA MADONNA DEI PELLEGRINI
Il dipinto ci mostra la Madonna vestita in abiti da popolana col Gesù Bambino in braccio e due pellegrini davanti a lei, riconoscibili dalle mani giunte in atteggiamento di preghiera e dai bastoni, nonché dalle vesti sdrucite e dai piedi nudi e gonfi messi in primissimo piano. Fu proprio a causa di questo particolare che, non appena il quadro fu messo sull'altare, come dice il Baglione, "ne fu fatto dai preti e da'popolani estremo schiamazzo". In realtà, il tema dei piedi nudi e gonfi è uno dei "dogmi" fondamentali di quella corrente pauperistica alla quale Caravaggio aderiva con entusiasmo: essi sono il simbolo dell'ubbidienza e della devozione, quindi vanno esaltati e non occultati. I due pellegrini, dopo un viaggio pieno di stenti e dopo il canonico "giro" attorno alla Sacra Casa, vengono ricompensati con l'apparizione di Maria e di Gesù - qui raffigurato non propriamente neonato, ma quasi ragazzino - che li benedice: i piedi gonfi e sporchi sono dunque necessari, e non volgarmente e gratuitamente esibiti come si volle far credere.
Altro motivo di scandalo fu l'apparente "scalcinatezza" della casa e il modo in cui Caravaggio aveva stravolto il racconto biblico. Secondo un'antica leggenda, infatti, la casa di Maria fu portata a Loreto in volo dagli angeli, ma nel quadro l'unico accenno al volo è la postura di Maria, raffigurata in punta di piedi; la casa è, invece, cadente, con l'intonaco scrostato lasciante i mattoni a vista: e qui, il Caravaggio vuol ribadire l'adesione alla povertà assoluta della Sacra Famiglia.
Modella per la Madonna fu una nota prostituta nonché amante del pittore, Lena, che poserà anche per la Madonna dei Palafrenieri.
Conclusasi anche questa visita ci si avvia per la terza ed ultima tappa di questo itinerario caravaggesco, poco distante da piazza Sant'Agostino camminando per qualche minuto ci troveremo a Via Santa Giovanna D'arco dove si trova la Chiesa di San Luigi dei Francesi (Lun-Merc, Ven-Dom 8:30-12:30, 15:30-19; Gio 8:30-12:30)
La chiesa di San Luigi dei Francesi è la chiesa nazionale dei francesi di Roma dal 1589.
La comunità francese di Roma, che già possedeva una piccola cappella nei pressi di Sant'Andrea della Valle, alla fine del XV secolo permutò questa cappella con altri possedimenti dell’abbazia di Farfa in Roma, per costruirvi una nuova e più spaziosa chiesa nazionale. I lavori furono eseguiti da Domenico Fontana su progetti di Giacomo Della Porta, e grazie alla munificenza di Caterina de' Medici, dal 1518 al 1589, e la chiesa fu consacrata l’8 ottobre 1589.
Sebbene consacrata a Maria vergine, a san Dionigi l'Areopagita e al re san Luigi IX, essa è conosciuta soprattutto con quest'ultimo nome. Fin dagli inizi della sua costruzione essa fu eretta a parrocchia per i residenti francesi della città; inoltre è sede del titolo cardinalizio di San Luigi dei Francesi.
Luigi Rossi fu organista della chiesa tra il 1633 e il 1635 e poi di nuovo tra il 1647 e il 1653, quando gli succedette Ercole Bernabei fino al 1665 (con una pausa di un anno, il 1658, in cui l'organista fu Ercole Pastorelli). Maestri di cappella nello stesso periodo furono Orazio Benevoli, Antonio Maria Abbatini e lo stesso Bernabei (a partire dal 1673).
Ben 3 dipinti del Caravaggio troveremo in questa Chiesa, definite il Ciclo pittorico di San Matteo
1) Il martirio di San Matteo
2) Vocazione di San Matteo
3) San Matteo e l'Angelo
IL MARTIRIO DI SAN MATTEO
Il Martirio di san Matteo è un dipinto a olio su tela (323x343 cm) di Caravaggio, databile intorno al 1600 e conservato nella Cappella Contarelli della chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma come gli altri 2 che descriveremo in seguito
La scena si sviluppa concentricamente intorno alla figura di un carnefice nell'atto di colpire il futuro martire.
Dalla radiografia sappiamo che Caravaggio compose tre diverse versioni del quadro: nella prima, una composizione più classica e con il fondo chiuso dalla mole di un tempio, ricordo della Maniera, al centro si trovava un soldato che irrompeva nella scena coprendo quasi San Matteo. Tra l'altro pare che il soldato avesse la stessa posa dell'angelo del Riposo durante la fuga in Egitto. Nella seconda versione i gesti dei personaggi acquistavano maggior vigore. Nella terza versione, invece, Caravaggio ambienta la scena in uno spazio profondo, con al centro il martirio del santo, riverso a terra, con ai lati una corona di astanti che fuggono inorriditi.
La scena è rappresentata all'interno di una struttura architettonica che ricorda quella di una chiesa (ciò si deduce dalla presenza di un altare con la croce e di un fonte battesimale) e quindi si atterrebbe alla Legenda Aurea per cui S. Matteo sarebbe stato assassinato dopo una messa. I personaggi sono stati disposti su una sorta di piattaforma inclinata, alla maniera teatrale, che ha l'effetto di avvicinarli allo spettatore e aumentare il pathos della raffigurazione. Al centro del quadro vi è San Matteo che giace a terra dopo essere stato colpito dal suo carnefice, il personaggio seminudo (probabilmente il falso neofita) che gli blocca il braccio; il corpo di quest'ultimo è tornito, a ricordo dell'Adamo della Sistina di Michelangelo.
La posizione delle braccia di San Matteo, aperte, richiama la croce, tuttavia egli non è illuminato totalmente quanto lo è il carnefice, perché egli è già in Grazia Divina. Il vero protagonista-peccatore è dunque il sicario, è su di lui che deve agire la luce salvifica di Dio. In alto a destra un angelo di ispirazione tardo-manierista, elegantissimo e raffinato anche nella postura sinuosa, si sporge da una nuvola per tendere a San Matteo la palma del martirio. Attorno, in tutto lo spazio figurativo disponibile, Caravaggio inserisce i fedeli presenti alla messa: due personaggi di fronte, uno volto in avanti e l'altro presentato con uno scorcio ardito, un bimbo che scappa, altri uomini scomposti in gesti e posture dalle quali traspare tutto l'orrore e la tensione per essere testimoni di una scena simile. È da notare un autoritratto di Caravaggio in fondo a sinistra, nel personaggio che osserva. Come spesso è accaduto anche in quest'opera, nella quale Caravaggio decide di rappresentare il martirio del santo come se si trattasse di un assassinio brutale lungo una strada, vi è la testimonianza della sua inventiva per l'aver trasferito un episodio della storia sacra nella vita di ogni giorno, per conferire realtà, veridicità e una forte componente emotiva.
Il critico Roberto Longhi, nel 1929, ha avanzato l'ipotesi che l'archetipo del dipinto potrebbe essere il Martirio di san Pietro da Verona del Moretto, dipinto tra il 1530 e il 1535 e oggi custodito nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Secondo lo studioso, "la tragica serietà di questo Pietro Martire dagli occhi ingolfati d'ombra (fatto anticlassico per eccellenza), la subitanea violenza fisica dei manigoldi, espressi in una plastica vicinissima e, dunque, diventata tutto orrore imminente di epidermide e di sangue pulsante, presentano molto dappresso il caravaggesco Martirio di san Matteo. È il novizio che fugge e si volge nell'aria sottile e dimostra già, non dico la plastica, ma l'evidenza secca, nitida e fulminante del primo Caravaggio.
VOCAZIONE DI SAN MATTEO
Vocazione di san Matteo è un dipinto ad olio su tela di cm 322 x 340 realizzato nel 1599-1600
l dipinto è realizzato su due piani paralleli, quello più alto vuoto, occupato solo dalla finestra, mentre quello in basso raffigura il momento preciso in cui Cristo indicando san Matteo lo chiama all'apostolato. Il santo è seduto ad un tavolo con un gruppo di persone, vestite come i contemporanei del Caravaggio, come in una scena da osteria.
È la prima grande tela nella quale Caravaggio, per accentuare la tensione drammatica dell'immagine e focalizzare sul gruppo dei protagonisti l'attenzione di chi guarda, ricorre all'espediente di immergere la scena in una fitta penombra tagliata da squarci di luce bianca, che fa emergere visi, mani (per evidenziare e guidare lo sguardo dello spettatore sull'intenso dialogo di gesti ed espressioni) o parti dell'abbigliamento e rende quasi invisibile tutto il resto.
La tela, inoltre, è densa di significati allegorici. In primo luogo proprio la luce, grande protagonista della raffigurazione pittorica, assurge a simbolo della Grazia divina (non a caso non proviene dalla finestra dipinta in alto a destra che, anzi, resta del tutto priva di luminosità, ma dalle spalle di Cristo), Grazia che investe tutti gli uomini pur lasciandoli liberi di aderire o meno al Mistero della Rivelazione; non bisogna dimenticare, poi, che la chiesa di S. Luigi rappresentava la nazione francese, e l'allora Re di Francia, Enrico IV, s'era appena convertito al Cattolicesimo, scegliendo così la Salvezza.
E così, solo alcuni dei personaggi investiti dalla luce (i destinatari della "vocazione" insieme a Matteo il Pubblicano) volgono lo sguardo verso Gesù, mentre gli altri preferiscono restare a capo chino, distratti dalle proprie solite occupazioni. Forse non è casuale che uno dei compagni di Matteo porti gli occhiali, quasi che fosse accecato dal denaro. La luce inoltre ha la funzione di dare direzione di lettura alla scena, che va da destra a sinistra e torna indietro quando incontra l'umanissima espressione sbigottita ed il gesto di San Matteo che punta il dito contro se stesso al fine di ricevere una conferma, come se chiedesse a Cristo e a San Pietro "State chiamando proprio me?". L'opera prende vita, movimento dalla luce ed i personaggi si muovono sulla tela come attori su un palco grazie ad essa. Il fatto, poi, che essi siano vestiti alla moda dell'epoca del Pittore ed abbiano il viso di modelli scelti tra la gente comune e raffigurati senza alcuna idealizzazione, con il realismo esasperato che ha sempre caratterizzato l'opera di Caravaggio, trasmette la percezione dell'artista dell'attualità della scena (il quale vuole comunicarci che la chiamata di Dio è universale e senza precisa collocazione nel tempo: ognuno di noi sarà chiamato), la sua intima partecipazione all'evento raffigurato, mentre su un piano altro, totalmente metastorico, si pongono giustamente il Cristo e lo stesso Pietro, avvolti in una tunica senza tempo. La gestualità dei personaggi dipinti dal Caravaggio (già di sicuro visti dal pittore nell'Ultima cena di Leonardo Da Vinci) danno un movimento e un coinvolgimento dei personaggi unico nel suo genere e fanno notare come il Merisi sia stato un frequentatore di locande dei "bassi fondi" romani del periodo e sia stato in grado di riprodurre atteggiamenti, espressioni e azioni (come nelle Scene di Genere da lui dipinte) di sicuro appresi da esso nella sua vita. Tale partecipazione viene espressa in modo ancor più efficace, se possibile, nell'altra tela di grandi dimensioni, raffigurante il Martirio del Santo, nella quale da una colonna sulla sinistra sbuca timido e pregno di compassione, volto che non è altro se non l'autoritratto di Caravaggio stesso, che pare riaffermare la propria personale partecipazione all'evento narrato.
Di grande intensità e valenza simbolica, nella Vocazione, è il dialogo dei gesti che si svolge tra Cristo, Pietro e Matteo. Il gesto di Cristo (che altro non è che l'immagine speculare della mano protesa nella famosissima scena della Creazione di Adamo – Cristo è il "nuovo Adamo"! – della Cappella Sistina michelangiolesca, che Caravaggio avrà certo avuto modo di studiare ed apprezzare) viene ripetuto da Pietro, simbolo della Chiesa Cattolica Romana che media tra il mondo divino e quello umano (siamo in periodo di Controriforma) ed a sua volta ripetuto da Matteo. È la rappresentazione simbolica della Salvezza, che passa attraverso la ripetizione dei gesti istituiti da Cristo (i sacramenti) e ribaditi, nel tempo, dalla Chiesa. Tuttavia alcuni storici dell'arte hanno notato la stretta analogia del gesto di Cristo del Caravaggio con quello del Masaccio ne:"Il Tributo di Pietro", suo capolavoro. Effettivamente come il Cristo del Masaccio sta indicando Pietro dicendogli:"va'al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento"(vangelo di Matteo (17, 24-27)), così il Cristo del Caravaggio indica San Matteo per chiamarlo all'ordine. Grazie alla radiografia, sappiamo che nella prima versione, non era presente la figura di San Pietro, aggiunta successivamente.
Questa è una delle prime pitture sacre, esposte al pubblico, in cui compaiono notazioni realistiche.
SAN MATTEO E L'ANGELO
San Matteo e l'angelo è un dipinto ad olio su tela di cm 295 x 195, realizzato nel 1602
Due anni dopo aver dipinto le tele laterali per la cappella Contarelli, Caravaggio fu chiamato a concludere l'opera dipingendo anche la pala centrale.
La prima versione di questo quadro fu rifiutata dalla congregazione: in essa era rappresentato il santo come un popolano semianalfabeta a cui l'angelo guida materialmente la mano nello scrivere il Vangelo.
L'opera destò scandalo per l'atteggiamento confidenziale tra l'angelo e il santo e, soprattutto, dalla resa del santo in posizione rozza: senza aureola e con le gambe scoperte. L'opera acquistata da Vincenzo Giustiniani, passò ai Musei di Berlino e fu distrutta durante un bombardamento verso la fine della seconda guerra mondiale.
La seconda versione emula i canoni dell'epoca: San Matteo, ispirato da un angelo apparso alle sue spalle, ha l'aspetto di un dotto e scrive di suo pugno il Vangelo, ispirato ma non più materialmente condotto dall'angelo che, con un gesto, sembra elencargli i fatti che dovrà narrare nel testo. L'unico accenno di "spregiudicatezza" dell'opera è la posa del santo, che si appresta a scrivere imbevendo la penna nel calamaio stando appoggiato con le braccia al tavolo, e con la gamba ad uno sgabello in equilibrio precario, quasi a sottolineare l'incertezza sul cosa scrivere.
Behhh.siamo giunti alla fine della nostra passeggiata caravaggesca... che ne dite di un buon caffè?.....ecco la fortuna ci assiste a piazza Sant'Eustacio potremo gustare uno dei migliori caffè di Roma.
SANT'EUSTACHIO Il Caffè
Sempre aperto tranne il 25 dicembre ed il 15 agosto.
Sant’Eustachio Il Caffè
Piazza Sant’Eustachio, 82
00186 – Roma – Italia
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Ore 8:30 – 01:00 dalla domenica al giovedì
Ore 8:30 – 01:30 il venerdì
Ore 8:30 – 02:00 il sabato
BUON RIPOSO E RELAX ED ARRIVEDERCI AL B&B ACQUEDOTTI ANTICHI PIU' TARDI.......
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giovedì 28 febbraio 2013
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