Non si può capire Roma se non si visita questa parte di Roma (il Ghetto) e non si conosce la storia della Comunità Ebraica di Roma.
Il Museo Ebraico di Roma ospitato nel complesso monumentale del Tempio Maggiore, è aperto dal 1960 per conservare le raccolte della Comunità Ebraica di Roma: argenti romani del Sei e Settecento, tessuti preziosi provenienti da ogni parte d’Europa, pergamene miniate, marmi scampati alla distruzione delle Cinque Scole, le cinque sinagoghe del ghetto.
Allestito su oltre 700 mq, presenta 7 sale espositive con un percorso didattico studiato per offrire risalto ai magnifici oggetti d’arte e ai preziosi documenti, che raccontano la storia bimillenaria degli ebrei di Roma, le relazioni fra gli ebrei e la città, le feste dell’anno e quelle della vita. Un punto di riferimento unico per scoprire le tradizioni, la religione e la storia degli ebrei romani, appartenenti a una comunità fra le più antiche al mondo.
Storia della comunità ebraica a Roma
L’Italia è l’unico paese – oltre la Palestina e terre finitime – che ha una storia ebraica continua e ininterrotta. La Comunità ebraica di Roma è la più antica d’Europa: si hanno notizie di Ebrei che abitavano in questa città già nel secondo secolo avanti l’E.V.; altri sopraggiunsero numerosi, dopo il 63 avanti l’E.V., venuti con Pompeo, conquistatore della Giudea; quindi la Comunità Ebraica di Roma è ben più antica del Papato.
Sappiamo che nell’antichità Giulio Cesare rispettava l’osservanza delle prescrizioni ebraiche: nell’anno sabbatico gli Ebrei erano esonerati dal pagare il loro tributo allo Stato romano. E che gli Ebrei residenti in Italia mandassero regolarmente in Palestina il loro contributo per il Tempio, lo apprendiamo anche dall’orazione di Cicerone “Pro Flacco”, tenuta nel 59 av. l’E.V. Flacco, era stato accusato di concussione; enel processo intentatogli figurano come testimoni Ebrei della provincia d’Asia, i quali lo accusano di essersi appropriato del denaro che dovevano inviare a Gerusalemme. Dice Cicerone nella Difesa: Cum aurum ludaeorum nomine quotannis ex Italia et ex omnibus nostris provinciis Hierosolymam exportari soleret, Flaccus sanxit edicto ne ex Asia exportari liceret. Quis est, iudices, qui hoc non vere laudari possit? (Essendo consuetudine che dall’Italia e da tutte le nostre province, tutti gli anni venga esportato oro a Gerusalemme, a nome dei Giudei, Flacco sancì con un editto che non fosse lecito esportarlo dall’Asia. E chi è, o Giudei, che non abbia a lodare ciò?). Anche Orazio in due satire (Sat. 1, 4 e Sat. 1, 9) accenna al proselitismo ebraico nella Roma del suo tempo.
Nel 66 av. l’E.V i Giudei, esasperati dalle angherie dei procuratori romani, si ribellano; ha così inizio la Guerra giudaica, che dura 4 anni. C’erano allora in Palestina due partiti, di cui quello degli Zeloti, che voleva la guerra a oltranza, ebbe il sopravvento. Nel 69 viene posto l’assedio a Gerusalemme, che, malgrado accanita resistenza e gli atti di leggendario valore compiuti dai Giudei, viene conquistata da Tito il 9 di Av dell’anno seguente; e il Tempio è dato alle fiamme. Secondo le leggi di guerra, i vincitori potevano disporre della vita e delle proprietà dei vinti. Una parte dei Giudei fu quindi destinata a perire nel circo (ad circenses) e mandata a Cesarea; una parte fu inviata nelle miniere in Sardegna (ad metalla), dove nessuno poteva sopravvivere a lungo; e una parte ancora fu portata a Roma (circa 97 mila) e adibita alla costruzione del Colosseo; altri furono venduti come schiavi: tutti i mercati dì schiavi dell’Oriente erano pieni di schiavi giudei. Anche dopo la rivolta di Bar Kochba (132-135) al tempo dell’imperatore Adriano, soffocata nel sangue dal Romani nel 135, molte altre migliaia di Giudei furono venduti come schiavi. Ma vivendo, come già ricordato, molti Ebrei fuori della Palestina anche prima di tali avvenimenti, essi si adoperarono per raccogliere denaro per il riscatto degli Ebrei schiavi; questa attività fu chiamata Pidion ha-shvuim, ossia: “riscatto dei prigionieri”; e in tal modo molti Ebrei furono liberati.
Nel 313 l’imperatore Costantino emana l’Editto di Milano, che doveva porre fine alle persecuzioni contro i Cristiani, ai quali si dovevano pure restituire i beni confiscati. Ma questo Editto proclama anche la tolleranza di tutti gli altri culti. Da questo momento la situazione della Chiesa cristiana si capovolge: da perseguitata, o da sola o insieme al nucleo ebraico, diviene di questo la persecutrice, i martiri che la Chiesa ha avuto sono in numero di gran lunga inferiore a quello di quanti hanno subito il martirio per colpa dei Cristiani. Tutte le calunnie scagliate dai pagani contro i Cristiani quand’essi formavano ancora una setta in seno all’ebraismo, vengono ora ritorte da questi contro gli Ebrei: esempio tragico è il cosiddetto “omicidio rituale”, che per secoli e secoli fu origine di sanguinose persecuzioni e di cui ci dà notizia per la prima volta il vescovo di Lione Agobardo, vissuto nel IX secolo.
Da ora in poi la storia degli Ebrei in Italia è in gran parte storia delle relazioni fra Ebrei e Papato; secondo la concezione della Chiesa, gli Ebrei dovevano sopravvivere per dimostrare al mando la verità dei Vangeli, e perciò mai da Roma essi furono cacciati; anzi, questa è l’unica città dell’Occidente con un’antica Comunità di Ebrei, da cui essi non furono mai espulsi.
Ebrei sotto lo Stato Pontificio
Sotto l’Impero romano la Comunità ebraica romana si sviluppò diventando una dei più importanti centri ebraici della diaspora. Durante il Medio Evo, la Comunità rimase fedele alle sue tradizioni, e fu ugualmente attiva nella traduzione e nella copiatura di codici, e nella diffusione del sapere scientifico, servendo anche da ponte culturale tra il mondo latino della Chiesa cattolica e l’Islam.
Intorno al 1000 in tutti i paesi cristiani vengono istituite le Corporazioni di arti e mestieri, per appartenere alle quali bisognava professare la fede cristiana; da questo momento gli Ebrei, esclusi da ogni a campo di attività, sono sospinti verso l’unica professione preclusa ai Cristiani: quella di banchieri. La vita degli Ebrei subisce un mutamento radicale; non solo in Italia, ma in tutta Europa: facendo commercio di denaro si rendono necessari ovunque, ed è per questa sola ragione anche che ovunque sono tollerati. Gli Ebrei di Roma possono considerarsi i pionieri di questa nuova attività economica: i banchi di credito.
Le condizioni degli Ebrei a Roma e nello Stato pontificio vanno peggiorando: gli Ebrei devono fare le spese di due feste popolari che si tengono annualmente a Roma: una per il popolo in Piazza Navona, e l’altra per i soldati al Monte Testaccio. Per essere esonerati dall’obbligo umiliante di parteciparvi, gli Ebrei, fin dal 1312, pagano una forte tassa, che viene suddivisa fra tutte le Comunità dello Stato pontificio. Malgrado le tristi condizioni ambientali, gli Ebrei svolgono attività letteraria; e di quest’epoca ricorderemo il poeta Emanuele Romano, amico di Dante e forse suo coetaneo. Con l’arrivo degli ebrei espulsi da Spagna, Sicilia e Portogallo, a partire dal 1492, vennero introdotte a Roma usanze sefardite che convissero insieme a quelle della tradizione locale.
Il 12 luglio 1555 papa Paolo IV, al secolo Giovanni Pietro Carafa, con la bolla Cum nimis absurdum, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani ed ordinò l’istituzione del ghetto, chiamato “serraglio degli ebrei”, facendolo sorgere nel rione Sant’Angelo accanto al Teatro di Marcello, in una zona malsana, soggetta a inondazioni, con cancelli chiusi alla sera e riaperti all’alba. Fu scelta questa zona perché la comunità ebraica, che nell’antichità classica viveva nella zona dell’Aventino e, soprattutto, in Trastevere, ne costituiva la maggioranza della popolazione. Oltre all’obbligo di risiedere all’interno del ghetto, gli ebrei, come prescritto dal paragrafo tre della bolla, dovevano portare un distintivo che li rendesse sempre riconoscibili: un berretto gli uomini, un altro segno di facile riconoscimento le donne, entrambi di colore glauco (glauci coloris). Nel paragrafo nove, inoltre, veniva loro proibito di esercitare qualunque commercio ad eccezione di quello degli stracci e dei vestiti usati. Inoltre gli ebrei erano costretti ad assistere periodicamente a prediche che erano tenute nelle chiese adiacenti al ghetto e che miravano alla loro conversione. Tra le restrizioni giuridiche, sociali ed economiche, vi era quella che impediva agli ebrei di avere più di una sinagoga, prescrizione che fu aggirata incorporando sotto un unico tetto cinque diverse congregazioni o “scholae”, le Scole degli ebrei romani (Scola Tempio e Scola Nova) e le Scole Catalana, Castigliana e Siciliana, che raccoglievano gli esuli. Inizialmente erano previste due porte che venivano chiuse al tramonto e riaperte all’alba. Il numero degli accessi, aumentando l’estensione e la popolazione del ghetto, fu successivamente ampliato a tre, a cinque e poi ad otto. Il 6 ottobre 1586, con il motu proprio Christiana pietas, papa Sisto V revocò alcune restrizioni e consentì un piccolo ampliamento del quartiere che raggiunse un’estensione di tre ettari.
Le vicende della Rivoluzione francese e delle conquiste napoleoniche, sia pure con anni di ritardo e per un periodo limitato, modificarono le condizioni di vita degli ebrei romani. Il 10 febbraio 1798 le truppe francesi, comandate dal generale Berthier, entrarono in città. Il 15 febbraio venne proclamata la Prima Repubblica Romana, il 17 dello stesso mese all’interno del ghetto, in piazza delle Cinque Scole, fu eretto un “albero della libertà”, il 20 papa Pio VI fu costretto a lasciare Roma ed il giorno dopo, a Monte Cavallo, il comandante francese proclamò la parità di diritti degli ebrei e la loro piena cittadinanza. Ma tale condizione ebbe breve durata: nel 1814, con il definitivo ritorno del nuovo pontefice Pio VII, gli ebrei furono nuovamente rinchiusi nel ghetto.
La loro condizione è la peggiore di tutti gli Ebrei nello Stato pontificio. Il papa Pio VII, che era stato tenuto prigioniero da Napoleone, torna trionfalmente a Roma; e i commercianti ebrei – che nella breve parentesi di libertà avevano aperto dei negozi fuori dei ghetto – ricorrono all’antico sistema (nella tradizione dei sistemi ricattatori del Governo pontificio nei riguardi degli Ebrei) di offrire una forte somma (100 mila scudi) per poter continuare a godere dei diritti ottenuti. Invano: il ghetto viene nuovamente chiuso coi suoi portoni, che non erano stati bruciati; gli Ebrei sono cacciati dalle scuole, e perfino, ad Ancona, dagli ospedali. Torna l’obbligo della predica coattiva e l’umiliante omaggio in Campidoglio, se pure i capi della Comunità possono andarvi ora vestiti con abiti comuni anziché con grotteschi travestimenti, tali da suscitare ilarità e disgusto; solo nel 1830 viene abolito il tradizionale calcio che in tale occasione essi dovevano ricevere.
Quando nel 1823 viene eletto papa Annibale della Genga, che prende il nome di Leone XII, la situazione si aggrava ulteriormente. Questo papa, che ha iniziato il suo pontificato scomunicando i patrioti, due anni dopo la sua elezione ribadisce l’ordine che gli Ebrei debbano vivere rinchiusi nei ghetti, debitamente muniti di portoni; a Roma vengono tagliate fuori del ghetto due vie che erano state precedentemente aggiunte, e i negozi in esse situati devono venir chiusi entro 24 ore. Nel 1826 viene rimesso in vigore l’”Editto sopra gli Ebrei” del 1775: gli Ebrei non possono più servirsi nemmeno della “donna del fuoco” (la cristiana che accendeva il fuoco di sabato). Anzi, per maggior sicurezza, il papa proibisce senz’altro agli Ebrei di accendere fuoco di sabato. Nel 1828 le condizioni peggiorano ancora: è obbligatoria la vendita d’immobili, si rinnovano i battesirni forzati, si ripetono, con impressionante frequenza, paurosi casi di oblazione (Lugo, Ancona, altri centri): chi aveva avuto al proprio servizio una domestica cattolica, si faceva rilasciare per cautela un certificato, in cui questa dichiarava di non aver battezzato nessun membro della famiglia.
Alla morte di Leone XII (1829) si intensificano gli eccessi antiebraici. Per un anno è papa Pio VIII (1829-1830), che vuole inasprire ancor più le leggi vigenti, e proibisce agli Ebrei qualsiasi rapporto con i Cristiani, tranne che per affari. Il papa Gregorio XVI (1831-1846) rimette in vigore l’imposta di carnevale, che sostituiva l’obbrobrioso palio accompagnato da sconce gazzarre popolari; e nel 1836 caccia da Bologna gli Ebrei che vi avevano preso stanza dopo la Rivoluzione francese. In questo periodo la Comunità di Roma rimane senza rabbino.
Il Regno d’Italia
Il 9 febbraio 1849 viene proclamata la Repubblica Romana con a capo Mazzini e difesa da Garibaldi; il papa Pio IX fugge a Gaeta. Nell’Assemblea nazionale ci sono tre ebrei: lo scrittore triestino Giuseppe Revere, che da Milano era passato a Venezia e da lì a Roma, Abramo Pesaro, cugino di Isacco Pesaro Maurogònato, e Salvatore Hanau da Ferrara. A difendere la Repubblica Romana accorrono anche ebrei stranieri. Il 17 marzo 1861 il Regno d’Italia viene solennemente proclamato dal Parlamento italiano, al quale tutte le regioni annesse hanno inviato i loro deputati; lo statuto sardo del 1848 entra in vigore in tutto il Regno. Viene così ratificata l’emancipazione ebraica, già riconosciuta nelle varie regioni con relativi decreti, in forma ufficiale.
Ma a Roma le condizioni degli Ebrei sono sempre gravi. Pio IX, da quando, dopo il crollo della Repubblica Romana, è ritornato da Gaeta trionfante e pieno di rancore, ha al suo fianco come segretario di Stato il cardinale Antonelli, fiero oppositore dei patrioti e di ogni riforma. Dopo la caduta della Repubblica Romana, il vacillante Stato pontificio si è servito di soldati stranieri per reprimere i moti delle popolazioni: francesi a Roma e austriaci nelle province. E dopo la liberazione delle province, nella Capitale è rimasto il presidio francese. In questa Roma oppressa da inquisitori e presidiata da milizie straniere, tristissime sono le condizioni degli Ebrei: i giornali stranieri del tempo riportano le impressioni dei visitatori del ghetto di Roma, miserabile quartiere, la cui vista suscita pietà; Sir Moses Montefiore, inviato a Roma a capo della “missione Mortara” , nella sua relazione al Board of Deputies of British Jews (Assemblea rappresentativa ebraica) dice che “le condizioni degli ebrei romani sono pietose oltre ogni dire”. E tali continuano ad essere anche dopo la costituzione del Regno d’Italia. Le antiche interdizioni sono state ulteriormente inasprite. Il fanciullo Mortara, ormai divenuto per tutta Europa simbolo della oppressione pontificia, è trattenuto prigioniero a Roma e avviato al sacerdozio. Nel 1864 avviene nella stessa Roma un altro caso di oblazione (Coen), che fa fremere di sdegno gli stessi cattolici: un ragazzo viene chiamato con un pretesto nella Casa dei Catecumeni (un prete lo chiama per fargli portare al calzolaio un paio di scarpe) e sparisce per sempre. Alcuni cristiani vogliono venire in aiuto agli ebrei, e perché abbia fine una tragica ironia, presentano al papa una petizione in cui chiedono che gli ebrei siano almeno esonerati dall’obbligo di versare il tributo alla Casa dei Catecumeni.
Il 20 settembre 1870 toccò ad un ufficiale ebreo piemontese l’onore di comandare la batteria dei cannoni che aprì una breccia nelle mura di Roma a Porta Pia, con l’annessione della città al Regno d’Italia, terminò il potere temporale dei papi, il ghetto fu definitivamente abolito e gli ebrei equiparati agli altri cittadini italiani. La definitiva equiparazione degli ebrei romani agli altri cittadini avviene con la fine del potere temporale del papa e la riunificazione di Roma all’Italia. Si apriva per gli ebrei romani, gli ultimi ad essere emancipati in Europa, un periodo di trasformazioni e di inserimento nella società civile e nazionale. Per risanare l’area, il ghetto fu raso al suolo e fu demolito anche l’edificio delle Cinque Scole, mentre gli ebrei iniziavano a trasferirsi in altri quartieri della città, prima contigui, poi più lontani.
Nel 1888, con l’attuazione del nuovo piano regolatore della capitale, buona parte delle antiche stradine e dei vecchi edifici del ghetto, malsani e privi di servizi igienici, furono demoliti creando così tre nuove strade: via del Portico d’Ottavia (che prendeva il posto della vecchia via della Pescheria), via Catalana e via del Tempio. Sono scomparsi in questo modo interi piccoli isolati e strade che costituivano il vecchio tessuto urbano del rione, sostituiti da ampi spazi e quattro nuovi isolati più ordinati ma anche meno caratteristici. Per avere un’idea di come doveva apparire il vecchio ghetto basta osservare la fila di palazzi che si trovano sul lato di via del Portico d’Ottavia, accanto a ciò che rimane dell’antico complesso augusteo.
Nel 1889 venne indetto un concorso per la costruzione della nuova sinagoga e selezionati due progetti. Nel 1897 la Comunità ebraica acquistò dal Comune di Roma l’area tra Lungotevere Cenci e via del Portico d’Ottavia, resa libera dalle precedenti demolizioni, per la costruzione del tempio. Nel 1899 venne scelto il progetto degli architetti Osvaldo Armanni e Vincenzo Costa, ispirato a motivi assiro-babilonesi e dell’Art Nouveau. I lavori, iniziati nel 1901, terminarono nel 1904 ed il 29 luglio dello stesso anno il Tempio Maggiore di Roma fu inaugurato. Nel seminterrato dell’edificio ha trovato recentemente sistemazione il Museo ebraico.
Ma molti ebrei non si lasciano convincere dalla Politica illusoria del Governo fascista, e rimangono nemici dichiarati del Regime. Questo fatto dà occasione a molti giornali di sfogare il loro livore antisemita; e mentre alcuni ebrei a Torino fondano il giornale “La nostra bandiera” (esponente dei buoni “cittadini italiani di religione israelitica” devoti al regim), molti ebrei continuano a tenere un contegno degno delle più nobili tradizioni risorgimentali. Anche i rabbini italiani mantengono un contegno dignitoso di fronte alle sempre più insistenti pressioni delle Autorità: il rabbino Castelbolognesi viene espulso da Tripoli perché, operando secondo la legge e le tradizioni ebraiche, ha disubbidito al vicerè Balbo; tutti i membri dell’Unione delle Comunità si dimettono (1936); all’inizio della campagna razziale (non ancora ufficiale), dopo che una delegazione italiana ha partecipato al Congresso antisemita di Erfurt nel 1937, viene pubblicato un coraggioso “Manifesto dei rabbini d’Italia ai loro fratelli”, aperta rampogna agli ebrei italiani che seguendo altre ideologie si ritengono avulsi dal loro ceppo di origine.
Mussolini, autonominatosi “protettore dell’Islam”, appoggia gli Arabi di Palestina, inviando loro armi; si parla di minaccia ai luoghi santi da parte del Sionismo, sostenuto dalla Gran Bretagna.
La situazione va peggiorando sempre più col graduale avvicinamento del Governo fascista a quello hitleriano; ma malgrado episodi di violenza che hanno profondamente scosso l’opinione pubblica, Mussolini smentisce ufficialmente le voci, sempre più insistenti, di misure antisemite che il governo italiano andrebbe elaborando. Il periodo 1938-1945 è tragico per gli ebrei italiani; quelli che hanno la possibilità, emigrano: i più verso le Americhe, molti in Palestina; si registrano molte abiure ed anche qualche “arianizzazione”, ottenuta col presentare documenti falsi e forti somme di denaro. Gli altri si adattano a vivere come possono e continuano, malgrado le loro peggiorate condizioni, ad aiutare i fratelli d’oltralpe che dall’avvento di Hitler al potere sono affluiti numerosi in Italia, privi di mezzi e bisognosi di cure. La Delasem (Delegazione Assistenza Emigranti), una Società creata a questo scopo, provvede i profughi del necessario.
A Roma, all’alba di sabato 16 ottobre 1943, un centinaio di soldati tedeschi, dopo aver circondato il quartiere, catturarono 1022 ebrei, tra cui circa 200 bambini. I prigionieri furono rinchiusi nel Collegio Militare di Palazzo Salviati in via della Lungara. Trasferiti alla stazione ferroviaria Tiburtina, furono caricati su un convoglio composto da 18 carri bestiame. Il convoglio, partito il 18 ottobre, giunse al campo di concentramento di Auschwitz il 22 ottobre. Soltanto 17 deportati riusciranno a sopravvivere, tra questi una sola donna e nessun bambino.
Nasce la Repubblica Italiana
Finita la guerra, e fatto il tragico bilancio delle perdite, risultano assenti 8 mila ebrei italiani, massacrati con gli altri 6 milioni di fratelli dalla furia omicida nazista. Fra questi, anche Enzo Sereni (1905-1944) romano: giovanissimo, aveva compiuto la sua Alià; e durante la seconda guerra mondiale, alle notizie che giungevano in Palestina delle spaventose persecuzioni antisemite, quando fu deciso di formare un Corpo di paracadutisti che portassero ai fratelli oppressi una parola di fede e di conforto, per primo si arruolò; caduto in mano ai Tedeschi e portato nel Campo di sterminio di Dachau, ivi trovò la morte. Molte storiche Comunità italiane sono scomparse, o in via dì estinzione; ma sull’altra sponda del Mediterraneo, nella Terra dei Padri, nuove colonie vengono fondate; e nelle file dei pionieri in lotta col deserto e coi vicini infidi militano anche pionieri nati in Italia. A ricoprire importanti cattedre nella giovane Università dì Gerusalemme (fondata nel 1925) sono chiamati professori italiani. Tra i Caduti nella Guerra di liberazione (1948) se ne contano circa 20 di origine italiana. L’ebraismo romano e italiano si fa onore nel risorto Stato d’Israele, e dà il suo valido contributo per consolidare la giovane nazione in pieno sviluppo.
Le Comunità italiane si sono riorganizzate, anche con l’aiuto degli ebrei d’America; hanno ricostruito le sinagoghe devastate dai fascisti o distrutte dai bombardamenti; all’esterno delle sinagoghe o nei cimiteri ebraici sono state poste le lapidi col triste elenco delle vittime della deportazione. Si sono aperte nuove scuole ebraiche. La gioventù ebraica ha una preparazione migliore di quella avuta dalla generazione passata: nelle scuole ebraiche si studia l’ebraico moderno. Il numero degli Ebrei italiani è diminuito in seguito a emigrazioni, defezioni, deportazioni, e per la perdita delle colonie (ora sono circa 35 mila); ma la vita ebraica a Roma e in Italia continua.
VISITA AL MUSEO
LE SALE
Sala 1 – La Guardaroba dei Tessuti
Velluti rinascimentali decorati da fili d’oro, ricami e merletti di età barocca, lampassi francesi del Settecento. Il museo possiede circa 900 tessuti, alcuni dei quali esposti nelle vetrine, altri usati nelle sinagoghe della città. La maggior parte di loro viene conservata in questa sala, a disposizione degli studiosi che ne facciano richiesta.
Sala 2 – Da Judaei a Giudei: Roma e i suoi ebrei
Calchi di lapidi provenienti dalle catacombe di Roma e dalla sinagoga di Ostia Antica, manoscritti del Medio Evo, piante della città caratterizzano questa sala in cui si ricostruisce anche visivamente l’origine della presenza, ininterrotta per oltre duemila anni, degli ebrei nella città di Roma.
Sala 3 – Feste dell’anno, feste della vita
E’ la sala dedicata agli avvenimenti che scandiscono il tempo dell’ebraismo: la preghiera, il Sabato, le feste ebraiche annuali e del ciclo della vita. In ciascuna vetrina le ricorrenze del calendario che caratterizzano la vita degli ebrei vengono spiegate e rappresentate attraverso gli oggetti appartenenti alla tradizione giudaica romana.
Sala 4 – I tesori delle Cinque Scole
Argenti, tessuti preziosi e marmi policromi: la sala è un tributo agli oggetti che gli ebrei del ghetto donarono alle loro sinagoghee l’occasione per spiegarne l’utilizzo all’interno delle celebrazioni liturgiche della tradizione ebraica.
Sala 5 – Vita e Sinagoghe nel ghetto
La lingua e la cucina, lo spazio urbano e l’architettura, l’istruzione e gli organismi di assistenza: la vita quotidiana nel ghetto a Roma narrata attraverso oggetti e documenti.
Sala 6 – Dall’Emancipazione a oggi
Dall’emancipazione ad oggi attraverso la Shoà e la ricostruzione: opere d’arte e documenti narrano il complesso cammino della Comunità Ebraica di Roma ancora vitale e attiva dopo 22 secoli.
Sala 7 – Sala dell’ebraismo libico
L’ 8 dicembre 2009 il museo ha inaugurato la Sala dell’ebraismo libico, dedicata all’immigrazione dei profughi ebrei a Roma nel 1967 provenienti da Tripoli e Benghasi. Nella sala dell’Ebraismo libico viene proposto a ciclo continuo, in italiano e in inglese, il video Una Stella sul Tevere, gli ebrei a Roma dall’Emancipazione a oggi, che ripercorre attraverso testimonianze e filmati il triste periodo della Comunità Ebraica durante il periodo delle leggi razziali e della deportazione.
La Galleria dei Marmi Antichi
La Galleria dei Marmi Antichi è uno spazio suggestivo all’aperto dove sono raccolti i marmi risalenti ai secoli XVI-XIX, di massima importanza per la storia della Comunità Ebraica di Roma. Alcuni ricordano i lasciti di ricche famiglie, altri documentano l’acquisizione di terreni per il cimitero. Un’iscrizione proibisce di portare il pane lievitato vicino al forno delle azzime, altre registrano le attività delle confraternite. Queste opere, con le loro lettere in ebraico fiorito e con i loro materiali ricercati, erano parte integrante della decorazione delle Cinque Scole, oggi distrutte.
LE SALE
Sala 1 – La Guardaroba dei Tessuti
Velluti rinascimentali decorati da fili d’oro, ricami e merletti di età barocca, lampassi francesi del Settecento. Il museo possiede circa 900 tessuti, alcuni dei quali esposti nelle vetrine, altri usati nelle sinagoghe della città. La maggior parte di loro viene conservata in questa sala, a disposizione degli studiosi che ne facciano richiesta.
Sala 2 – Da Judaei a Giudei: Roma e i suoi ebrei
Calchi di lapidi provenienti dalle catacombe di Roma e dalla sinagoga di Ostia Antica, manoscritti del Medio Evo, piante della città caratterizzano questa sala in cui si ricostruisce anche visivamente l’origine della presenza, ininterrotta per oltre duemila anni, degli ebrei nella città di Roma.
Sala 3 – Feste dell’anno, feste della vita
E’ la sala dedicata agli avvenimenti che scandiscono il tempo dell’ebraismo: la preghiera, il Sabato, le feste ebraiche annuali e del ciclo della vita. In ciascuna vetrina le ricorrenze del calendario che caratterizzano la vita degli ebrei vengono spiegate e rappresentate attraverso gli oggetti appartenenti alla tradizione giudaica romana.
Sala 4 – I tesori delle Cinque Scole
Argenti, tessuti preziosi e marmi policromi: la sala è un tributo agli oggetti che gli ebrei del ghetto donarono alle loro sinagoghee l’occasione per spiegarne l’utilizzo all’interno delle celebrazioni liturgiche della tradizione ebraica.
Sala 5 – Vita e Sinagoghe nel ghetto
La lingua e la cucina, lo spazio urbano e l’architettura, l’istruzione e gli organismi di assistenza: la vita quotidiana nel ghetto a Roma narrata attraverso oggetti e documenti.
Sala 6 – Dall’Emancipazione a oggi
Dall’emancipazione ad oggi attraverso la Shoà e la ricostruzione: opere d’arte e documenti narrano il complesso cammino della Comunità Ebraica di Roma ancora vitale e attiva dopo 22 secoli.
Sala 7 – Sala dell’ebraismo libico
L’ 8 dicembre 2009 il museo ha inaugurato la Sala dell’ebraismo libico, dedicata all’immigrazione dei profughi ebrei a Roma nel 1967 provenienti da Tripoli e Benghasi. Nella sala dell’Ebraismo libico viene proposto a ciclo continuo, in italiano e in inglese, il video Una Stella sul Tevere, gli ebrei a Roma dall’Emancipazione a oggi, che ripercorre attraverso testimonianze e filmati il triste periodo della Comunità Ebraica durante il periodo delle leggi razziali e della deportazione.
La Galleria dei Marmi Antichi
La Galleria dei Marmi Antichi è uno spazio suggestivo all’aperto dove sono raccolti i marmi risalenti ai secoli XVI-XIX, di massima importanza per la storia della Comunità Ebraica di Roma. Alcuni ricordano i lasciti di ricche famiglie, altri documentano l’acquisizione di terreni per il cimitero. Un’iscrizione proibisce di portare il pane lievitato vicino al forno delle azzime, altre registrano le attività delle confraternite. Queste opere, con le loro lettere in ebraico fiorito e con i loro materiali ricercati, erano parte integrante della decorazione delle Cinque Scole, oggi distrutte.
LE COLLEZIONI
I tessutiIl Museo Ebraico di Roma possiede circa ottocento tessuti, in gran parte antichi e provenienti dalle cinque sinagoghe del Ghetto di Roma (1855- 1870). Velluti rinascimentali decorati da fili d’oro, ricami e merletti di età barocca, lampassi francesi del Settecento: un mondo fantastico, pieno di grazia e di ricchezza, di colori e ornamenti, è giunto fino a noi dall’età del Ghetto per testimoniare come, anche in condizioni di oppressione e di disagio, gli ebrei di Roma condividessero con il resto della città un gusto per il bello e per il fasto. Un gusto messo al servizio della comunità e dei luoghi in cui questa si riuniva per studiare e per pregare.
I tessuti sono per lo più stoffe antichissime, comprate di seconda mano nei nobili palazzi, che gli ebrei hanno modificato per adattarli all’uso sinagogale, applicando loro ricami e passamanerie. In un mondo di ricamatori uomini, nel ghetto questo era un mestiere da donne. La bravura delle ricamatrici ebree fu apprezzata dalla comunità tanto che nel rito romano fu inserita, tra le preghiere del sabato mattina, una benedizione speciale per le donne che abbellivano le sinagoghe con il loro prezioso lavoro.
I marmi e gli argenti
La collezione è composta da materiale di diverse tipologie: marmo, travertino, gesso, ardesia.
Le lapidi, realizzate tra il Seicento e l’Ottocento, sono in alcuni casi realizzate con marmi preziosi, in altri decorate con incisioni e stemmi familiari, che permettono di risalire ai committenti. Si tratta di materiale di grande importanza poiché, attraverso lo studio delle iscrizioni, è possibile gettare una nuova luce sulla storia secolare del Ghetto e dei suoi abitanti.
I frammenti delle Cinque Scole sono anch’essi realizzati con marmi preziosi, spesso recuperati da antichi monumenti di età imperiale, e sono databili tra il Seicento e l’Ottocento.
Gli argenti esposti , di ottima fattura, hanno carattere religioso e decorativo.
Le due sinagoghe
IL TEMPIO MAGGIORE
Nel 1870, con la breccia di Porta Pia, l’Esercito Italiano conquista Roma e la città con tutto il suo territorio viene incorporata nel Regno d’Italia. – termina il potere tempo-rale pontificio. In seguito Roma sarà dichiarata capitale del Regno. Nel XIX° secolo in tutta Europa viene data l’emancipazione a molte minoranze, e anche in Italia, dopo l’Unità, gli Ebrei, anche per i meriti acquisiti con la partecipa-zione alle lotte risorgimentali, possono godere gli stessi diritti (e doveri) di tutti i cittadini. In questa situazione di parità politica, le Comunità Ebraiche possono erigere, dopo secoli di limitazioni, sinagoghe monumentali.
La sinagoga principale della Capitale, appunto il “Tempio Maggiore” avrebbe potuto essere eretta nel centro della capitale ma la Comunità Ebraica vuole il Tempio nello stesso quartiere che era stato ghetto per mantenerne la memoria e un’atmosfera ebraica. Il concorso per il progetto dalla nuova sinagoga vede vincitore il progetto degli architetti Armanni e Costa.
Il Tempio è stato inaugurato nel luglio del 1904. L’edificio monumentale è concluso da una cupola a base quadrata, rivestita in alluminio. L’interno, – con una disposizione della bimah (il podio) non esattamente conforme alla tradizione del “rito romano”, è riccamente decorato nello stile “art nouveau”,( uno dei pochissimi esempi di questo stile in tutta la città) dagli artisti Brugnoli e Bruschi.
Costruito tra il 1901 e il 1904, il Tempio Maggiore è la principale sinagoga di Roma.Considerata come una delle più grandi d’Europa, la sinagoga, a parere degli ebrei romani, doveva essere eretta tra il Campidoglio e il Gianicolo.
Inoltre si decretò che il Tempio dovesse essere molto grande e visibile da tutti i punti panoramici della città.
La struttura finale della sinagoga assunse sembianze assiro-babilonesi.
La costruzione iniziò quando Vittorio Emanuele II decise di far demolire e ricostruire il Ghetto di Roma, e dopo aver concesso la cittadinanza agli ebrei italiani.
L’edificio fu progettato da Vincenzo Costa e Osvaldo Armanni, mentre le vetrate sono opera di Cesare Picchiarini e i dipinti di Domenico Bruschi e Annibale Brugnoli.
Papa Giovanni Paolo II fu il primo Pontefice Romano a far visita a un luogo di culto ebraico, infatti, il 13 aprile 1986, incontrò il Rabbino Capo Elio Toaff, mentre papa Benedetto XVI visitò il museo il 17 gennaio 2010.
La sinagoga, dalla base quadrata e dalle pareti color sabbia, si trova alla base di una grande cupola.
Suddiviso su 2 livelli, il Tempio presenta un piano sotterraneo dove si trovano il museo della comunità ebraica e il Tempio spagnolo. La sinagoga grande, invece, si trova al piano terra e dispone di una sala centrale e di 2 piccola navate laterali.
Costruito nel 1904 dai fratelli Rieger, l’organo a canne si trova dietro l’Aron Ha-Kodesh. Restaurato nel 2011, lo strumento vanta 2 tastiere a 56 tasti e una pedaliera con 30 note. Non include canne di mostra.
La sinagoga, oltre a essere un luogo di preghiera, rappresenta per gli ebrei romani un punto di riferimento culturale.
IL TEMPIO SPAGNOLO (o Sefardita)
Nel 1930 in una sala del seminterrato dell’edificio del Tempio Maggiore è stato trasferito il Tempio Spagnolo, per cui dopo la distruzione delle “Cinque Scole” viene in realtà appositamente costruito, ancora su progetto di Armanni e Costa, un edificio sul Lungotevere Sanzio.
Nel 1948 il Tempio Sefardita è stato ulteriormente ristrutturato e arredato con elementi provenienti dalle cinque Scole: la tevah dalla sinagoga Castigliana, l’Aron dalla Scola Nova, i due seggi dalla Scola Catalana. Nell’atrio è stata posta una fontana in marmo dalla Scola Catalana. Tutti questi elementi sono in marmi pregiati con lavorazioni di alto livello, e ci testimoniano come fossero riccamente decorate le Sinagoghe dell’epoca dal ghetto: in contrasto con la vita povera e difficile che gli ebrei romani sono stati costretti a vivere quotidianamente in quei tre secoli, l’interno delle delle Scole poteva essere decorato in modo grandioso, per creare un ambiente che invitasse alla preghiera , con l’intervento di importanti artisti e decoratori dell’epoca, ovviamente cattolici perché in tutto il periodo della esistenza del ghetto era proibito agli ebrei essere artigiani.
Orari giorni di chiusura e biglietti
Dal 16 settembre al 15 giugno
Domenica – Giovedì dalle 10.00 alle 16.15 (uscita alle ore 17.00)
Venerdì dalle 9.00 alle 13.15 (uscita alle ore 14.00)
Dal 16 giugno al 15 settembre
Domenica – Giovedì dalle 10.00 alle 18.15 (uscita alle ore 19.00)
Venerdì dalle 10.00 alle 15.15 (uscita alle ore 16.00)
Visite guidate all’interno del Tempio Maggiore e del Tempio Spagnolo ogni ora in inglese e in italiano.
Le visite guidate sono comprese nel prezzo del biglietto.
Il Museo Ebraico di Roma è chiuso:
il sabato, 1 gennaio, 15 agosto, durante le festività ebraiche.
Il biglietto comprende l’ingresso al museo e la visita guidata all’interno del Tempio Maggiore e del Tempio Spagnolo
Intero: € 11
Gruppi: € 8,00 a persona (min. 20 persone, un accompagnatore gratis)
Over 65: € 8,00
Studenti: € 4,00
Disabili, bambini sotto i 10 anni (escluso gruppi): ingresso gratuito
PRENOTARE A QUESTI NUMERI: Tel. 06 68400661 – Fax 06 68400639
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