Al Palazzo delle Esposizioni di Roma apre i battenti una grande mostra, curata da esperti internazionali sotto la guida di Luca Cavalli Sforza e Telmo Pievani, che racconta la vicenda della nostra specie, dalle origini africane alla diffusione in tutto il pianeta.
È trascorsa a malapena una decina di giorni da quando le Nazioni Unite hanno indicato in una neonata filippina l'abitante numero sette miliardi dell'unica specie capace di colonizzare il pianeta a tutte le latitudini e con ogni clima. Già, perché si trovano esemplari di Homo sapiens dallo sperduto villaggio di Alert, sull'isola di Ellesmere, all'estremo nord del Canada, appena 800 chilometri dal Polo Nord e una notte gelida e buia che dura da ottobre a febbraio, fino alle torride distese deserte della depressione della Dancalia, nel Corno d'Africa.
E pensare che la storia di tutti noi ha avuto inizio - più di un inizio, in verità - meno di 200.000 anni fa non lontano da quell'anticamera dell'inferno, in una remota valle dell'Etiopia da cui la nostra specie ha mosso i primi passi. È lì che nacque un nuovo membro della famiglia del genere Homo, che quasi un milione di anni prima si era già spinto a esplorare gli angoli più remoti del vecchio mondo, prosperando e differenziandosi in un intricato "cespuglio evolutivo", come lo definiscono i paleoantropologi. Ed è da lì che quel bipede con una postura perfettamente eretta e un'intraprendenza senza pari ha piano piano conquistato il pianeta, attraversando ogni sorta di pericoli e finendo, forse più di una volta, sull'orlo dell'estinzione - soprattutto a causa dei violenti cambiamenti climatici che hanno scosso la Terra - durante la sua breve, fortunata avventura.
Al lungo viaggio di Homo sapiens è dedicata l'omonima mostra in programma dall'11 novembre al 12 febbraio 2012 al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dove un gruppo di scienziati di fama internazionale, sotto la guida di Luigi Luca Cavalli Sforza e Telmo Pievani, raccogliendo nell'esposizione un complesso di reperti che non ha pari al mondo, ha dipanato la matassa della nostra evoluzione sbrogliando il filo che ci ha portato fin qui
O, meglio, i fili. Che partono da uno dei reperti di più recente scoperta, Australopithecus sediba, un controverso ominide di 2 milioni di anni fa le cui caratteristiche morfologiche lo collocano a metà tra i suoi parenti più stretti e i più lontani antenati del genere Homo, quello che un tempo si sarebbe impropriamente detto un "anello mancante". Lee Berger, che lo ha scoperto in Sudafrica, porterà a Roma, per la prima volta al mondo, il calco autorizzato di A. sediba, perché l'originale è troppo fragile per esporlo al rischio di un viaggio. Di qui, la prima sezione della mostra esplora le vicende delle prime specie del genere Homo, agili camminatori che lasciarono l'Africa per arrivare al cuore dell'Europa e spingersi fino alle estreme propaggini dell'Asia, facendoci incontrare, per la prima volta in Italia, l'originale del cranio di Homo georgicus, un fossile di 1,8 milioni di anni fa scoperto nel Caucaso che rappresenta, per ora, il più antico abitante d'Europa.
Ma è con la seconda sezione che ha inizio il nostro viaggio nel senso più stretto, caratterizzato da un'ondata di successive uscite dall'Africa che ha il culmine circa 60.000 anni fa. E subito scopriamo che fino a poche migliaia di anni prima che gli Egizi costruissero le piramidi non eravamo soli. Quando Homo sapiens lascia l'Africa incontra altre specie cugine. C'è l'uomo di Neanderthal in Europa, gli eredi di Homo erectus sull'isola di Giava, , l'uomo di Denisova, in Siberia, l'ultimo scoperto, e nella remota isola indonesiana di Flores, gli "hobbit" che hanno accompagnato la nostra specie fino a 12.000 anni or sono. Ed è qui che facciamo alcuni degli incontri più interessanti della mostra. Il primo proprio con Homo floresiensis, grazie alla splendida ricostruzione realizzata da Lorenzo Possenti, artista toscano specializzato in modelli per le scienze naturali e apprezzato a livello internazionale. Che è anche l'autore della ricostruzione del bimbo di Lagar Velho, un enigmatico fossile portoghese di circa 25.000 anni fa cui le indagini genetiche attribuirebbero un padre neanderthaliano e una madre H. sapiens.
Sì, perché l'analisi del DNA ha ormai accertato che, durante il suo viaggio, la nostra specie non si è solo incontrata con le altre, ma ha anche generato ibridi, almeno con i Neanderthal. Ed ecco entrare in gioco la frontiera della paleoantropologia degli ultimi anni: l'analisi del DNA antico, il più prezioso alleato degli scienziati nel ricostruire la storia dell'uomo e delle sue differenze, che ci porta dritto alla genetica delle popolazioni, la scienza che proprio Cavalli Sforza ha contribuito a fondare.
È con la terza e la quarta sezione della mostra che entriamo nel vivo della specialità di Homo sapiens, le migrazioni. Perché dai primi spostamenti di gruppi sparuti, contemporaneamente alla rivoluzione degli strumenti del Paleolitico e alla nascita delle prime espressioni simboliche, l'uomo comincia a colonizzare il pianeta in modo più sistematico. Raggiunge le Americhe, l'Australia, le isole del Pacifico, si differenzia per gli strumenti che usa e le lingue che parla, invade territori ostili, e infine si ferma - si fa per dire - creando insediamenti sedentari dove domestica piante e animali.
Arriva fino ai giorni nostri, il percorso di Homo sapiens, con la riscoperta delle Americhe e una lettera originale di Cristoforo Colombo al suo mecenate Luís de Santángel, conservata alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Vi narra, il navigatore genovese, la sorpresa di aver incontrato, di là dall'Atlantico, non i mostri con il corpo di uomo e la testa di cane descritti da Marco Polo nel Milione, ma uomini e donne del tutto simili a noi, e anche piuttosto cordiali...
L'avventura si conclude con quei sette miliardi di esseri umani che oggi popolano il pianeta, figli di antenati comuni che hanno battuto ogni sorta di avversità. Parliamo quasi settemila lingue diverse, abbiamo diverso colore della pelle, forma degli occhi e del naso, mangiamo alimenti diversi. Ma c'è una sola storia ad annodare le nostre diversità, è scritta nel nostro genoma e oggi gli scienziati possono raccontarla con sempre maggiore dovizia di particolari. Per questo Homo sapiens è molto più che una mostra: perché alla fine del percorso scopriamo di quale magico guazzabuglio di ingredienti è fatta quell'immensa impresa collettiva che è la civiltà dell'uomo.
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martedì 22 novembre 2011
HOMO SAPIENS: così la nostra specie conquistò il mondo. Mostra a Roma al Palazzo delle esposizioni
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